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Incontro Nazionale: Identità, rete, pensiero critico

Dalle perplessità critiche sulla gestione della salute nel tempo dell’emergenza Covid-19, alla gestione della campagna vaccinale; dalla valutazione sui rischi di un concetto di salute sempre più identificato con un sapere dogmatico e tecnocratico, incurante dell’unicità della persona fino alle continue richieste, quasi sempre negate, di partecipazione politica come cittadini e professionisti alle scelte culturali e di indirizzo degli organi dirigenziali (governativi e ordinistici).

Da tutto questo sono nati gruppi sempre più ampi come l’Associazione #DallaStessaParte, il Comitato Nazionale Psicologi, Sinergetica, il gruppo de Il No che unisce, Contiamo-Ci, etc.
Uomini e donne, professionisti e cittadini, che negli anni hanno elaborato pensieri e azioni di dibattito e di critica, hanno dato origine a movimenti aggregativi spontanei di riaffermazione di bisogni fondamentali e di diritti universali che fondano e sostengono il vivere in comune.
Alcuni gruppi si sono formalizzati all’interno di categorie previste dall’assetto normativo italiano, altri hanno preferito restare movimenti informali.
In questi anni, hanno lavorato in autonomia o in rete, spesso con obiettivi comuni, altre volte con obiettivi differenti, con modalità e strategie simili o diverse, ma certamente legati dal riconoscimento del valore di ognuno e della preziosità di tutte le azioni.

Da tali premesse nasce l’idea dell’Incontro Nazionale: Identità, rete, pensiero critico. Un grande momento di incontro tra persone che dialogano, che ragionano su se stesse e su temi di rilievo, con il desiderio condiviso di favorire un processo culturale di scambio reciproco e la creazione di legami relazionali solidi.

L’OBIETTIVO prioritario sarà quello di INCONTRARSI, CONOSCERSI e RACCONTARSI per:
– restituire a noi stessi e a chi partecipa le nostre storie ed il loro significato;
– sviluppare un processo di cultura di gruppo e di rete;
– aumentare il livello di gioia, propositività e di fiducia reciproca.

L’incontro è rivolto ai componenti delle organizzazioni coinvolte o che gravitano attorno ad esse (referenti, soci, simpatizzanti, etc.). Gruppi di interesse: #DallaStessaParte, Sinergetica, Consulta degli Psicologi Contiamo-Ci, Comitato Nazionale Psicologi, Il No che unisce, gruppo Regione Marche Interlocuzione.

Per informazioni: info@dallastessaparte.com

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Protetto: Dopo la COVID: capire

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Dalla parte della Psicologia: la pratica clinica si apre al confronto attraverso il racconto di terapeuti esperti

Gli psicoterapeuti che animano l’associazione #dallastessaparte provengono da ambiti di formazione molteplici.

Per questo motivo le supervisioni sono una delle attività più interessanti che propone l’associazione: un preziosissimo confronto tra professionisti di grande esperienza che adoperano differenti modelli teorici e di intervento clinico.
Nelle nostre riunioni, che si svolgono regolarmente ogni mese da più di due anni, abbiamo sviluppato una rete di lavoro e solidarietà che ha prodotto piacevoli evoluzioni.

Una di queste è il ciclo di appuntamenti che abbiamo voluto chiamare “Dalla parte della Psicologia: la pratica clinica si apre al confronto attraverso il racconto di terapeuti esperti”.

Seguendo il Progetto e lo Statuto dell’Associazione abbiamo immaginato di realizzare tre incontri tra allievi in formazione e psicoterapeuti esperti, in cui inizieremo a ragionare insieme su alcuni aspetti essenziali della pratica clinica, a partire dal racconto di ciò che realmente accade nella stanza di psicoterapia.

Gli incontri avranno luogo il venerdì dalle 17.00 alle 19.30, nella sede di via dell’Artigliere n. 6 a Palermo.

Il 31 maggio ci occuperemo del colloquio clinico.
Il 14 giugno ci dedicheremo a valutazione e psicodiagnosi.
Il 28 giugno proveremo a raccontare l’esperienza clinica.

La partecipazione è gratuita, e aperta a studenti di psicologia e allievi delle scuole di specializzazione.

È necessario comunicare la propria adesione inviando una mail all’indirizzo info@dallastessaparte.it oppure telefonando al numero 3284787228.

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Domande che curano

Venerdì 3 maggio 2024 alle 17.30, presso la nuova sede dell’Associazione #DallaStessaParte a Palermo in via dell’Artigliere 6, presenteremo il libro Domande che curano.
Roberta Campo ha scritto per noi una recensione accurata: un invito alla lettura in cui si riconoscono i principi che ci hanno motivati a fondare l’associazione e che abbiamo sintetizzato nel nostro progetto.


Domande che curano è scritto da quattro psicologhe reichiane unite nel desiderio di stare insieme per farsi domande.

Le Autrici si muovono e si inoltrano tra questioni volutamente aperte, senza avere mai la pretesa di dare delle risposte; ma il libro è anche un invito a mettere la testa fuori dagli spazi occupati da un collettivo amente, sempre meno interessato a interrogare ciò che viene dato per scontato nel quotidiano.

Domande che curano può essere visto, quindi, come una vera e propria messa in discussione che indistintamente interroga tutti a ritornare a sostenere lo sguardo su come concepiamo lo spazio comune e condiviso, proprio dopo un periodo storico tristemente e dolorosamente attraversato da divisioni, sfiducia, desiderio di controllo, sospettosità. Sentimenti, questi, che hanno segnato come mai prima d’ora persino quei legami che consideravamo indissolubili, ma che invece sono stati bruscamente strappati.

Il testo attraversa temi fondamentali e solo apparentemente diversi tra di loro: il politicamente corretto, le pratiche sanitarie, il ruolo della psicologia oggi e le politiche sanitarie, la gestione dell’informazione a opera dei mass-media, la verità, il trans- e post- umano, la morte.

Si vorrebbe sfatare l’idea che argomenti come ‘scienza’, ‘tecnica’, ‘bene comune’, ‘politiche sanitarie’ siano autoevidenti, tanto da non dovere essere né questionati né motivati.

Il volume è una proposta per guardare, osservare e comprendere ciò che ci precede, e iscrive il nostro esistere all’interno di un corpo collettivo più ampio.

La continua ricerca delle domande lo rende anche un’occasione per riattraversare le ferite che hanno lacerato la nostra comunità, non solo civile ma anche professionale.

Apparentemente sembra che stiamo parlando di un periodo già passato alla storia. Tutto sembra tornato alla normalità, ma non è andato tutto bene come si sperava inizialmente. Non solo allora, quando si svolgevano i fatti. Purtroppo ancora oggi sembra esserci un certo pudore nel tornare a parlare di quanto è accaduto e che, in ambiti solo apparentemente diversi, continua ad accadere ancora adesso. Spesso si rileva un fastidio nei confronti di chi si ostina a tornare a parlare di lockdown, ma soprattutto di vaccini e dell’obbligo vaccinale, di questa storia comunque tormentata e tormentosa.

Tutto fa pensare che in realtà vi sia poco di elaborato su quando accaduto.

Dunque, non possiamo dire che sia andato tutto bene: ognuno porta con sé un personalissimo “strappo”. Il testo, però, non si riduce mai a diventare un banale tentativo di ricucire le lacerazioni e disinfettare le ferite. Dal mio punto di vista prova a fare qualcosa di più.

Questo qualcosa in più lo dichiarano le stesse Autrici quando condividono il senso del loro pseudomino: Eumenidi.

Le Eumenidi, nella tradizione greca, sono le dee della benevolenza che vigilano sulla Giustizia. La storia delle Eumenidi di Eschilo è proprio la storia di una vendetta trasformata in benevolenza. Le Erinni, dee possedute da un senso di giustizia vendicativa sono implacabili e inarrestabili. Solo Atena, con la promessa di venerazione eterna, riesce a calmare le Erinni trasformandole in Eumenidi, dee a cui viene affidato il compito di vigilare che a nessuno venga fatto del male.

Queste moderne dee restauratrici ci parlano della loro benevolenza già a partire dal titolo. Le domande curano poiché permettono di fare spazio al grido sordo delle morti in solitudine, delle Antigone afflitte davanti a Creonte, dei bambini spenti dentro le aule sterilizzate della scuola, degli anziani disperati e soli, degli adolescenti senza gruppo.

Al grido di vendetta si sostituisce la parola del “Giusto”, inteso non in termini morali, né in termini di regole. La Giustizia delle Eumenidi giudica l’oppressione, in qualsiasi forma essa avvenga, dell’uomo sopra un altro uomo, perché di esso ne riconosce la sacralità unica e inviolabile.

Il testo si apre con le parole di Hanna Arendt e si chiude con un brano di Italo Calvino tratto da Le città invisibili, probabilmente a volere rimarcare l’importanza di continuare a farci domande su ciò che è dato come ovvio, come autoevidente. È un invito a praticare l’etica della responsabilità, così come pensata da Arendt, per non trasformare il mondo nell’inferno dei viventi.
Porsi le domande consente anche di recuperare un assunto importante per praticare il giudizio, inteso come capacità di giudicare l’arbitrio e l’arbitrario che, in quanto tali, rischiano di essere insopportabili per l’animo e la mente. Non è la malvagità dell’uomo, infatti, a rendere il mondo (e la vita) un inferno, ma l’inadeguatezza dei criteri morali con cui vengono giudicate le azioni.

Il testo riesce sempre a sfuggire al tentativo di moralizzare la società grazie alla capacità delle Autrici di assumersi la responsabilità del “fare le domande”, compito che dovrebbe diventare, in ultima istanza, analisi del potere e dell’esercizio del potere. Perché l’inferno dei viventi può essere una fabbrica, una R.S.A., una scuola, un ospedale, un sistema politico, un impiego. L’inferno si presenta ogni qualvolta viene mortificata la sacralità della vita.

È un discorso, questo, al di fuori della legge e della normatività giuridica.

La Giustizia a cui si rivolgono le nostre moderne Eumenidi appartiene all’ordine del sacro. Del resto, i Greci non avevano una termine corrispondente al nostro “diritto”.

Il sacro chiaramente non va letto in chiave religiosa: siamo in presenza del sacro ogni volta che ci troviamo di fronte a qualcosa che non può essere definito in nessun modo, se non tramite un apriori.

Possiamo davvero avere la presunzione di sapere cosa sia la vita? O come si debba definire rispetto della persona umana? Cosa sarebbe la dignità?

Nell’antica Roma il nome era qualcosa di sacro. Tutte le città avevano un nome sacro segreto, che potevano conoscere solo i sacerdoti e che andava custodito pena la distruzione della città stessa. Conoscere il nome significava potere influire, dominare e sottomettere. Conoscere il nome dà potere, nel bene e nel male.

Se ci pensiamo, ogni qualvolta proviamo a definire alcuni concetti sacri, stiamo aprendo alla possibilità di un arbitrio. Ogni volta che disegniamo, grazie al potere di una definizione o di una norma civile, il significato di un concetto, stiamo tracciando un pericoloso confine che permette di definire standard, criteri, regole e deroghe. Ma potremo anche trovare sempre l’eccezione che conferma la regola, proprio come ne La fattoria degli animali di Orwell. Soprattutto sarà possibile trasformare una “dignità inalienabile” in qualcosa di alienabile, perché per ogni confine vi è “un al di là” dove qualcosa diventa possibile.

L’articolato “civile” delle definizioni dello spazio del sacro trasforma la Giustizia delle Eumenidi nella riflessione su quanto sia lecito il potere che una persona può esercitare su un’altra persona, pur rimanendo non perseguibile dalla giustizia.

Ecco perché l’importanza del farsi le domande. Le domande alzano il velo e rendono visibile ciò che in realtà è arbitrario.

Non a caso, per Simone Weil vita, dignità, rispetto, inalienabilità sono termini che appartengono all’ordine del sacro, perché nel momento stesso in cui ci impegnamo a definirli – in termini morali, culturali, sociali, psichici, giuridici – perdono il loro carattere sacro e possono essere circoscritti, revocati, amministrati, controllati.

Le moderne Eumenidi si chiedono quindi: è stata rispettata la legge del diritto? è stata rispettata la legge del sacro?

È una domanda fondamentale in un’epoca in cui qualsiasi aspetto della vita viene amministrato dal diritto, e l’etica viene trasformata in un pericoloso dirittismo.

Le leggi ci hanno detto che bisognava impedire le visite ai malati, ai morenti, ai funerali, alle nascite. Le persone anziane sono state relegate in residenze divenute luoghi di attesa che qualcosa accadesse. Le carceri sono divenute ancor di più, luoghi di detenzione e di isolamento da cose e ospiti che venivano da fuori, fatta eccezione per il virus che era l’unico possibile ospite minaccioso ad accesso libero. Le nascite sono diventate momenti di solitudine delle madri, cui è stato imposto di partorire in assenza dei mariti e delle madri, di portare la mascherina il più possibile durante il parto, di non toccare nessuno degli infermieri presenti durante il travaglio (p. 10).

La postura della Giustizia ci invita a fare le domande. Le domande non hanno la pretesa di risolvere nulla, ma solo di aprire e ampliare l’orizzonte della realtà. Le domande avvicinano alla verità, non tanto perché esista una Verità unica e assoluta ma perché creano spazio per il pensiero.

Nelle verità fondate sui dogmi, sugli intenti persuasivi, sulle immagini dimostrative di una evidenza incontestabile, abbiamo dimenticato le domande, ovvero le porte relazionali per eccellenza, i nodi tematici, le capacità di argomentare, del lasciare in sospeso, dell’attendere, del fare relazioni davanti ad un accadimento non noto, del fare ricerca collaborando tra professionisti che propongono tesi opposte (p. 29).

Un’etica, questa, sempre più importante nell’epoca attuale, in cui le immagini prendono il posto della realtà. Baricco, commentando i fatti dell’11 settembre, segnalava una trasformazione nei modi in cui facciamo esperienza della realtà, che ci allontana dalla possibilità di stare all’interno di un rapporto complesso e articolato con essa: “il mondo non ha tempo di essere così. La realtà non va a capo, non concorda i verbi, non scrive belle frasi, noi lo facciamo quando raccontiamo il mondo, ma il mondo, di suo è sgrammaticato, sporco, la punteggiatura la mette che è uno schifo”.

Poco prima scriveva: “c’è un’ipertrofia irragionevole di esattezza simbolica, di purezza del gesto, di spettacolarità, di immaginazione (…) In tutto c’è troppa maestria drammaturgica, c’è troppo Hollywood, c’è troppa fiction”.

La prevalenza dell’immagine sulla percezione diretta della realtà comporta un depotenziamento della funzione epistemofilica, quella funzione che sostiene un modo del comprendere capace di stare all’interno di uno spazio comune di interrogazione.

In “Domande che curano” le Eumenidi, insieme ai propri lettori, provano a creare e mantenere vivo tale spazio.

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Ad Agrigento: Lo spietato repertorio della contemporaneità

Sabato prossimo 14 ottobre 2023 ci vediamo ad Agrigento!

Inizieremo con la presentazione del libro “Lo spietato repertorio della contemporaneità. Verso una normopatia sociopatica” e avvieremo un piacevole confronto con l’Autore Gabriele Mignosi e i soci #dallastessaparte.

Sarà l’occasione per conoscerci, e per ragionare insieme sulla funzione che la Psicologia sta assumendo nella società contemporanea.

Ci vediamo sabato alle 17, all’Hotel Tre Torri di Agrigento, in via Cannatello 7.

Qui sotto trovi la locandina dell’evento, se vuoi puoi condividerla con i colleghi che pensi siano interessati.

Per iscriverti e per ricevere informazioni sulle attività dell’associazione #dallastessaparte puoi utilizzare questo modulo.

locandina Agrigento
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Convegno #dallastessaparte sulla proposta di revisione del Codice Deontologico

Sabato 16 settembre ti invitiamo al convegno organizzato dall’associazione #dallastessaparte per discutere insieme sulla proposta di revisione del nostro Codice Deontologico.

Codice Deontologico delle Psicologhe e degli Psicologi: verso quale revisione?

Il referendum si svolgerà online dal 21 al 25 settembre 2023.

Ci sembra doveroso organizzare prima un momento di informazione e dibattito su questioni davvero importanti, che riguardano tutti noi.

Nel frattempo ti invitiamo a leggere tutti gli articoli del nostro blog (lo Scrittoio), in particolare l’ultimo articolo appena pubblicato da Roberta Campo, che individua alcuni dei temi più delicati.

Considerata la particolare rilevanza della questione, ti chiediamo di pubblicizzare l’evento a tutti i colleghi che potrebbero essere interessati.

Qui trovi la locandina dell’evento che si svolgerà a Palermo, presso la Casa dei Sogni, in via Mura di San Vito n. 10 (dietro il teatro Massimo).

Se vuoi partecipare, iscriviti da questa pagina: https://www.dallastessaparte.it/iscrizione-convegno/

Ci vediamo presto.

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Cineforum #1: “Non è un caso. Moro”

Ritrovarci a ragionare sulle cose, entro spazi di relazione buoni e quasi dimenticati. Dove una volta si cresceva insieme, come uomini e come comunità.
Ecco perché abbiamo fondato DallaStessaParte e perché abbiamo organizzato gli incontri del Cineforum.

Venerdì 14 luglio abbiamo visto “Non è un caso. Moro”, appassionante docufilm del regista Tommaso Minniti, tratto dall’inchiesta di Paolo Cucchiarelli.

Dal dibattito che ha seguito la proiezione è emersa una questione interessante, relativa al processo di costruzione e maturazione della “verità”.

Nel lavoro psicoterapeutico, una parte significativa del lavoro che facciamo con il paziente è quello di ripercorrere la propria storia personale, familiare, e dei contesti in cui essa si colloca, e disporci in un atteggiamento di riscrittura e di nuova significazione degli eventi.

Gli eventi “storici”, lungi dall’essere “dati”, sono eventi interpretati alla luce dei codici di significazione che possediamo al momento del loro darsi. Ecco, ad esempio, perché un bambino che resta solo davanti alla scuola per un ritardo o una dimenticanza di un genitore oberato di impegni, può ricordare vividamente l’episodio con un drammatico vissuto di abbandono, magari associandolo alla rivalità con un fratellino più piccolo.

Essenziale è, dunque, nel lavoro terapeutico con l’adulto, la ricostruzione dei significati, in una visione rinnovata, possibilmente meno ingenua, meno infantile, meno egocentrica, in un quadro più ricco e complesso, risultante non solo dalla integrazione di elementi nuovi o compresi solo successivamente, ma soprattutto da un’assunzione di responsabilità più matura nei confronti delle cose che sono e che sono state.

Da questa sapienza professionale è emersa, visibile, la necessità che come Italiani, come cittadini, come membri di una comunità, ci assumiamo la responsabilità di ripercorrere gli eventi significativi della nostra Storia.

In termini meno ingenui, appunto, meno passivi, alla ricerca di una conoscenza che non sia superficiale ma capita in profondità.
E rispetto all’informazione mediatica e alle “verità” tutte, ufficiali o ufficiose che siano: al “cittadino adulto”, cui idealmente vogliamo assomigliare, non può bastare una narrazione anche se proveniente da una fonte istituzionale, anche autorevole. Dovrà comunque fare la fatica di trovare un suo cammino di significazione ponderata e approfondita.
Allo stesso modo in cui la “verità” di un genitore può essere accettata acriticamente da un figlio bambino, ma non da un figlio adulto, che dovrà svilupparne una propria. E magari integrarla, quando possibile, alle visioni degli altri.

Una piacevole serata, dunque, col sapore delle vecchie proiezioni all’arena della villeggiatura estiva, è stata occasione per rinnovare il senso del partecipare di ognuno di noi alla storia civile e sociale che ci appartiene ed ancora influenza le nostre vite.

Poiché la domanda che resta aperta è: perché, a distanza di 45 anni, ancora non è possibile mettere sul tavolo del discorso pubblico le complesse verità del “caso” Moro? Non può essere un caso, suggerisce il titolo di Minniti. E per trovare la vostra personale posizione su questo evento, tra i più significativi della storia d’Italia, vi invitiamo a guardare il film (acquistabile qui), opera peraltro godibilissima anche dal punto di vista filmico, musicale e umano.

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La programmazione neurolinguistica: la mia esperienza

Seguendo lo spirito che anima l’Associazione #dallastessaparte, due volte al mese ci riuniamo per fare “autoformazione”.
Si tratta di eventi in cui un socio racconta un tema di interesse comune, che ha approfondito e che ha il piacere di condividere.
Il nostro nuovo socio Alberto Venuti ci ha fatto un bel “regalo di benvenuto”, organizzando un ciclo di incontri – tanto interessanti quanto dibattuti – sulla programmazione neurolinguistica.
A conclusione gli abbiamo chiesto un commento personale, che pubblichiamo molto volentieri perché, in modo semplice e autentico, restituisce il senso del nostro progetto comune.


L’Associazione #dallastessaparte, di cui sono socio, mi ha dato l’opportunità di presentare l’orientamento della programmazione neurolinguistica (PNL) ai colleghi, durante alcuni incontri di autoformazione.

Ho conosciuto questa disciplina psicologica per caso, mentre frequentavo il corso di laurea specialistica in Psicologia del lavoro e delle organizzazioni presso l’Università Lumsa di Roma. Da quel momento, per i successivi due anni, ho lavorato come tutor in un’azienda che si occupa di erogare corsi di formazione e crescita personale, e ho anche collaborato con altre aziende impegnate nel medesimo settore.

Ho avuto l’opportunità di conoscere un mondo fatto di passione, crescita, condivisione, voglia di migliorare, nuove amicizie: insomma un modo diverso, e fino ad allora inesplorato, di coltivare la mia passione, la psicologia.

La prima cosa che mi ha affascinato è stato il fatto di potere mettere subito in pratica tutto quello che fino a quel momento avevo soltanto letto e imparato teoricamente dai libri universitari; ho scoperto che la pratica è fondamentale per consolidare l’apprendimento e che, ancora più importante ai fini del consolidamento delle conoscenze, è l’attività di spiegare agli altri teorie, tecniche e relative procedure di applicazione, dopo averle testate personalmente.

Il mio primo intervento, durante un corso aziendale in PNL, è stato un salto nel buio, e trovarmi di fronte a un’aula colma di corsisti è stata una emozione forte e sfidante: ho cercato di essere il più chiaro possibile, di rispondere a dubbi e domande, di assicurarmi che quanto avevo appena spiegato fosse stato veramente assimilato, di essere pronto a ricevere eventuali critiche.

Ricordo ancora quella emozione e adesso la associo alla PNL stessa.

Spesso questo orientamento è oggetto di forti critiche e dubbi che, in qualità di trainer, non di rado mi vengono rivolti.

Come recita uno degli assiomi della comunicazione presi in prestito dalla PNL: “dietro l’obiezione c’è l’informazione”. Quindi ben vengano le obiezioni, in quanto danno a me l’opportunità di migliorare, e alla PNL la possibilità di perfezionarsi sempre più e offrire, a chi intende approfondirla, teorie e tecniche di valore.

Una delle critiche più frequenti che mi capita di sentire è: “la PNL è manipolazione!”.

A questa obiezione, rispondo che, per il solo fatto di essere al mondo, volenti o nolenti, stiamo già manipolando la realtà: il fatto di occupare uno spazio fisico e di interagire con gli altri è di per sé “manipolatorio”.

Forse il vero senso della questione sta nell’accezione negativa che viene data alla parola “manipolazione”, intendendo con questa il costringere qualcuno a fare qualcosa.

A questo punto subentra la questione etica di cui, a mio parere, non può occuparsi una disciplina psicologica, che è soltanto uno strumento: penso che la responsabilità relativa all’utilizzo di qualsiasi strumento non sia dello strumento stesso, ma della persona che se ne serve.

Ma cos’è la programmazione neurolinguistica?

La PNL nasce dall’incontro, intorno agli anni ’70 del secolo scorso, di Richard Bandler – informatico – e John Grinder – linguista – presso l’Università di Santa Cruz, in California.

Ė celebre la prima opera scritta dai due studiosi “La struttura della magia”. Bandler e Grinder decisero di analizzare il lavoro degli psicologi e psicoterapeuti più validi del loro tempo, come Fritz Pearls, Virginia Satir, Milton Erikson, allo scopo di carpire i segreti della loro bravura, e di sistematizzare, in maniera semplice e fruibile da tutti, le teorie e le tecniche da loro utilizzate.

Per questo la PNL viene definita come:

lo studio dell’esperienza soggettiva e del modellamento dell’eccellenza.

Il fatto che ogni persona abbia una prospettiva unica attraverso cui guardare la realtà e il fatto che “l’eccellenza”, intesa come il modo più efficace attraverso cui raggiungere i propri obiettivi, sia qualcosa a cui tutti possono aspirare, sono alcuni dei capisaldi su cui si fonda la PNL.

Inoltre, la programmazione neurolinguistica non è una scienza, come molti erroneamente affermano, ma una disciplina psicologica che si fonda anche su basi neuroscientifiche, come ad esempio il funzionamento dei neuroni specchio, scoperti nei primi anni ‘90 dal neuroscienziato Giacomo Rizzolatti.

La PNL, ancora, nasce come metodo terapeutico ma con il passare degli anni ha trovato applicazione anche in altre discipline come il counselling, il coaching, la formazione per giovani e per adulti, il team building, il public speaking, lo sport, la vendita, la selezione e la gestione delle risorse umane e molti altri ancora.

Per me la PNL ha rappresentato e rappresenta tutt’ora una chiave attraverso cui compiere una delle  attività più difficili di sempre: guardare il mondo attraverso gli occhi di un’altra persona, per aumentare al massimo la possibilità che ho di capire gli altri e di aiutarli a stare meglio.

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Convocazione Assemblea dei soci

Caro Socio,
con la presente ti comunico la data della prossima assemblea della nostra associazione.

Ai sensi dell’art. 17 e successivi dello Statuto dell’Associazione “#dallastessaparte”, viene indetta per il giorno 14 gennaio 2023 alle ore 7,00 in prima convocazione e per il giorno

14 gennaio 2023 alle ore 9,00

in seconda convocazione, l’assemblea ordinaria con il seguente o.d.g.:

  1. Tesseramento associazione 2023;
  2. Condivisione programmazione attività anno 2023;
  3. Varie ed eventuali.

L’assemblea si terrà presso lo studio della dott.ssa Chiara De Franchis, in via Marchese Ugo n. 56, Palermo.

Ti ricordo che ai sensi dell’art. 23 dello statuto puoi farti rappresentare in assemblea, per mezzo di delega scritta, da un altro associato. Ogni socio potrà portare in assemblea una sola delega.

Tanti cari saluti

Monica Perricone
Presidente Associazione #dallastessaparte

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Il conflitto e la coscienza (di classe)

Il breve articolo di Girolamo Schiera ha il fondamentale pregio di parlare icasticamente all’anima epistemologica della nostra professione, descrivendo uno scenario necessitato dal languire di chiavi di lettura transdisciplinari che non siano piatte e indulgenti.

Ci stimola a maturare una rappresentazione complessiva e razionale del mondo in cui operiamo come professionisti e viviamo come persone, per attivare una mobilitazione affettiva; contro lo spirito del neocapitalismo (finanziarizzato e tecnicistico) ci incoraggia a svilupparne uno nuovo, che valorizzi pratiche anti-economiche e di legame.

L’intelligenza pacificatrice che il collega invoca, serve a neutralizzare antagonismi surrettiziamente provocati, per liberare e concentrare tutte le risorse critiche contro un paradigma che ci appare scontato e di cui tutti siamo attori, vittime e colpevoli ad un tempo.


Errori interpretativi nell’analisi degli eventi più recenti

Negli ultimi mesi gli psicologi appartenenti alla nostra associazione #dallastessaparte hanno animato un dibattito su alcuni temi che riguardano la professione: ricordo, tra i tanti, la sospensione dall’esercizio della professione per inadempimento dell’obbligo vaccinale, l’endorsement ufficiale del nostro Ordine Professionale nei confronti di una compagine di governo, la riformulazione del codice deontologico, il sistema ECM, la burocratizzazione della professione, il bonus psicologico.

Durante le nostre discussioni più appassionate è capitato di trascendere nella critica personale nei confronti di questo o quel personaggio politico, cui venivano attribuite qualità personali negative.

Io penso che uno sfogo emotivo sia comprensibile durante una conversazione disimpegnata, ma è un atteggiamento gravemente limitato e fallace se contamina, o addirittura sostituisce, le argomentazioni scientifiche.

Invece, chi esercita la psicoterapia, come gran parte di noi, nella pratica professionale non adopera strumentalmente giudizi di valore sulla persona.

Ad esempio, quando ricostruiamo le dinamiche familiari che hanno generato un malessere in un singolo elemento o nell’intero sistema, per nessuno di noi è rilevante considerare un genitore malvagio o un figlio cattivo o una madre egoista.

Sappiamo sospendere il giudizio, ci riserviamo il giusto tempo per riflettere e rimodulare il primo inevitabile moto emotivo spontaneo.

Quasi sempre poi, procedendo con la raccolta delle informazioni, troviamo che anche il peggiore degli individui con cui abbiamo avuto a che fare professionalmente, è stato segnato da esperienze di profonda sofferenza. Anche a partire da questa comprensione prende avvio la nostra strategia d’intervento.

Siamo dunque addestrati a mettere da parte il giudizio sulla moralità dei nostri pazienti e decodificare il sistema di vincoli (storici, personali, ambientali, familiari, culturali, economici) che possono arrivare a “costringere” un soggetto a comportarsi in una determinata maniera, pur nociva per gli altri e per se stesso.

Tuttavia, quando la discussione si incentra sul comportamento di ampi aggregati di individui o di istituzioni, non sempre riusciamo a mettere da parte un secco giudizio morale, soggettivo, emotivo e personale sui singoli attori.

Credo che un eccesso di semplificazione rischi di avviare ricostruzioni e analisi imprecise della realtà.

Detto in altri termini, soggettivizzare dinamiche oggettive deforma l’analisi dei fatti in un racconto favolistico, utile soltanto a scaricare rancore e frustrazione.

È un grave abbaglio che ci può indurre a indirizzare le nostre energie e il nostro impegno su falsi bersagli, adottando strategie innocue, a volte addirittura predisposte dalla nostra controparte.

Quest’anno siamo stati personalmente colpiti da azioni repressive e oppressive che, a mio parere, sono soltanto l’ultima drammatica evoluzione del conflitto di cui noi siamo la parte soccombente.

Quindi, nonostante le migliori intenzioni e le migliori competenze, l’assetto mentale che abbiamo descritto rischia di rendere irrilevanti le nostre azioni contro il sistema di potere che a volte ci soverchia.

Riusciamo invece a formulare una griglia di interpretazione rigorosa e coerente, che prescinda dall’attribuire qualità morali ai protagonisti delle più recenti e tristi vicende?

Proviamo ad accantonare l’impulso ad attribuire intenzioni cattive agli attori che la dirigono, e consideriamo la società come un sistema sottoposto a vincoli storici, culturali, ambientali, economici.

Ciò che oggi ci colpisce personalmente è il “sintomo” e non la malattia, il problema generato da una serie di elementi che lo precedono causalmente, l’ultimo anello di una catena di eventi: il più superficiale e manifesto.

Se questo ragionamento appare utile e razionale, proviamo a individuare i vincoli di contesto che hanno prodotto l’attuale situazione.

Nel prossimo paragrafo ci soffermeremo su due elementi che ritengo molto utili per costruire la nostra cornice interpretativa e che riguardano:

  1. il dispositivo capitalista in cui siamo immersi e che abbiamo inevitabilmente assimilato;
  2. le dinamiche di lotta di classe, di cui siamo soggetti soccombenti.

Infine proveremo a elaborare una strategia convincente che ci consenta di mettere al servizio della collettività i nostri specifici strumenti concettuali e operativi.

Una cornice interpretativa

Abbiamo concordato di “mettere da parte i sentimenti” per elaborare un’analisi razionale delle cause dell’attuale situazione.
Adesso proviamo a elaborare un piano d’azione efficace.

Il dispositivo capitalista

Occorre dunque costruire uno strumento affidabile per decodificare l’attualità: una cornice interpretativa coerente e razionale per comprendere i fattori socioeconomici e culturali che incidono nella soggettività dell’individuo.

Possiamo essere d’accordo nel considerare gli individui e la società come sistemi dinamici, sottoposti a vincoli di varia natura e intensità, interni ed esterni, che ne influenzano di volta in volta lo stato di equilibrio.

I due livelli – individuale e sociale – si influenzano a vicenda: l’individuo viene condizionato da vincoli socioculturali e, a propria volta, dà forma alla società.

Le regole interpretative e di funzionamento utili per comprendere il livello individuale e di piccolo gruppo non sono sempre adatte quando l’indagine si sposta al livello di grandi raggruppamenti di individui.

Secondo Mignosi (2020) «lo sguardo psicologico (sulla soggettività) deve essere inscritto in un quadro strutturale e sovrastrutturale» (p. 22).

Accogliamo il suo suggerimento e adoperiamo «il paradigma dello strutturalismo costruttivista» di Bourdieu (1972; 1992).

«Un approccio che [tiene] conto sia delle strutture (e sovrastrutture), quali determinanti esterne al soggetto che s’impongono su di esso, orientandone i comportamenti, sia delle scaturigini soggettive a partire dalla quali è possibile costruire una conoscenza della realtà»
[…]
«La cultura e i suoi dispositivi (dai classici mezzi di produzione alle norme che ordinano i nostri modi di vivere) agiscono attraverso l’individuo e ne intenzionano la conoscenza»
[…]
«I rapporti di forza, gli strumenti attraverso i quali si realizzano, i principi culturali, costituiscono i vincoli nei quali si esprimono le soggettività» (Mignosi, 2020, p. 22).

«Forze sovraindividuali, non naturali, […] agiscono sistematicamente e costrittivamente sui soggetti» (p. 23).

Permeando cultura e società, per mezzo della famiglia e della scuola, i fattori socioeconomici agiscono direttamente sulla struttura identitaria stabile degli individui, determinando così la percezione della realtà interna ed esterna.

Si tratta di dispositivi mentali invisibili che tutti noi agiamo e che ci agiscono: un sistema di «schemi di percezione, di valutazione e di azione» (p. 34), che mediano il rapporto tra noi e il mondo e che sono fortemente influenzati dalla dimensione economica, sociale e culturale.

Tali schemi affettivi, cognitivi, comportamentali, preriflessivi e incarnati influiscono sugli elementi strutturali della personalità di tutti gli individui:

  • l’identificazione e la regolazione degli affetti;
  • la percezione della realtà interna ed esterna;
  • il sistema dei valori e delle motivazioni;
  • l’identità.

In che modo tali determinanti modellano la struttura psichica?

Il contesto socio-culturale agisce direttamente sul singolo individuo attraverso mass media, social network, scuola, famiglia e gruppo di pari.

Mass-media e social network, hanno oggi una potenza e invasività mai raggiunta prima, e sono in grado di condizionare gli individui in diversi modi:

  1. inducono specifiche emozioni (paura, insicurezza, sfiducia) nelle masse e nei singoli individui; etero-regolano l’emotività; tele-guidano l’identificazione, l’interpretazione e l’espressione delle emozioni;
  2. costruiscono rappresentazioni di realtà che sottopongono in maniera martellante agli spettatori/utenti;
  3. generano sistemi di valori;
  4. smantellano la struttura identitaria degli individui.

Anche la scuola è stata trasformata e disabilitata: non più sorgente di istruzione, cultura e identità ma, in sinergia con gli altri mezzi di influenzamento e di propaganda, essa opera ormai una spinta destrutturante nei confronti degli individui (Frezza, 2017).

Si realizza una potente pressione verso la disintegrazione dell’identità, l’insicurezza cronica, l’asocialità e la parcellizzazione delle relazioni, l’individualismo, il materialismo, il nichilismo, l’amoralità, il relativismo, il senso di vuoto soggettivo e spirituale.

Ne risulta uno stato di malessere psicologico dell’individuo e della collettività. Tale stato di sofferenza è indotto agendo sistematicamente sui bisogni umani fondamentali di:

  • sicurezza (fiducia in sé e negli altri);
  • relazioni (legami, attaccamento, amore);
  • spiritualità.

Soltanto un Uomo così decostruito può abitare la società consumista, poiché esso è:

  • infelice (ma non troppo), così cerca soddisfazione nel consumo di oggetti;
  • debole e insicuro, così non si ribella ma compra (possibilmente online);
  • impaurito, così è propenso ad eseguire gli ordini che provengono dall’alto;
  • iperspecializzato, tecnicistico, umanamente ignorante, così non si pone domande e non crea troppi problemi;
  • sfiduciato, individualista e competitivo, così non crea aggregazioni potenzialmente pericolose;
  • povero (ma non troppo), così non ha il tempo di studiare e la forza per contestare;
  • disilluso, disincantato, relativista, amorale, così si realizza soltanto nel proprio meschino impiego (inconsapevole di essere sfruttato).

Raccontando la deriva verso la normopatia sociopatica, Mignosi (2020) esplicita e approfondisce ulteriori descrizioni di questo fenomeno involutivo.

L’Autore riflette sulle dinamiche psicosociologiche che abbiamo sin qui brevemente delineato (è notevole, a mio parere, la parte in cui tratta della psicoterapia e della disposizione emotiva del terapeuta).

La lotta di classe

Le determinanti di ordine economico definiscono la cultura e la forma della società in cui viviamo. E quindi il sistema consumistico globalizzato incide profondamente sulla struttura di personalità degli individui.

Tali determinanti non sono naturali e tantomeno neutrali, e vengono manipolate secondo la volontà di chi ha sufficienti risorse per farlo.

Per procedere ulteriormente nel nostro ragionamento abbiamo bisogno di spiegare un concetto che oggi è forse passato in secondo piano, ma è essenziale per comprendere cosa ci sta accadendo: il conflitto tra classe dominante e classe lavoratrice.

Far parte di una classe sociale significa appartenere, volenti o nolenti, ad una comunità di destino, e subire tutte le conseguenze di tale appartenenza […] avere maggiori o minori possibilità di fruire di una quantità di […] beni materiali e immateriali, sufficienti a rendere la vita più gradevole e magari più lunga; disporre […] del potere di decidere il proprio destino.
(Gallino, 2012, p. 4)


Lotta di classe, «per chi non è soddisfatto del proprio destino […] significa mobilitarsi per tentare di migliorare, insieme con gli altri che si trovano nella medesima condizione, il proprio destino con diversi mezzi; o quanto meno, per evitare che esso peggiori» (p. 8).

Non siamo più testimoni di moltitudini di operai che marciano nelle piazze per reclamare i propri diritti, tuttavia masse di individui, accomunate da legittimi interessi comuni, continuano a lottare per ottenere maggiori benefici economici, politici e culturali.

Chi vuol esser miliardario?

Adesso semplificherò forse un po’ troppo, ma invito ad approfondire l’argomento ad esempio attraverso la lettura dei seguenti testi, che ho trovato molto chiari e comprensibili, e che ho ampiamente adoperato per la stesura di questo articolo:

  • Luciano Gallino, La lotta di classe dopo la lotta di classe, 2012;
  • Lidia Undiemi, La lotta di classe nel XXI secolo, 2021.

Oggi possiamo identificare due fronti contrapposti: la classe dominante e la classe dominata.

Ma che significa “dominante”?

Spiegarlo esattamente esula dall’intento di questo articolo, ma prometto di essere più preciso in una successiva occasione. Ci proverò con un piccolo escamotage che spero dia l’idea della sproporzione di risorse, e quindi di potere, tra ciascuno di noi e chi ha una disponibilità economica davvero enorme.

Una sera d’estate, durante una piacevole cena in casa di amici, ci siamo divertiti a commentare una notizia di gossip: un noto miliardario italiano aveva regalato alla sua giovane ex moglie una villa del valore di qualche milione di euro come “trattamento di fine rapporto”.

Dopo le solite inevitabili battute, ci siamo posti una domanda: rispetto al patrimonio del miliardario, qual è il “peso relativo” della villa che aveva regalato alla ex?

Allora abbiamo fatto una semplice proporzione. Supponendo che il patrimonio del miliardario ammontasse esattamente a un miliardo di euro (in realtà è molto di più) e che il valore della villa fosse un milione di euro, il miliardario ha fatto un regalo alla ex pari a un millesimo del proprio patrimonio: lo 0,1 per cento.

Adesso viene il bello… facciamo finta che il nostro patrimonio totale sia di centomila euro (a questo punto forse alcuni sorrideranno). Un millesimo di 100.000 fa 100. Quindi è come se, nella stessa situazione, noi avessimo elargito al nostro ex partner, 100 miseri euro di “buonuscita”!?

Non so se mi spiego.

Ma andiamo avanti: mettiamo che la casa più tutto quello che possediamo valga 300.000 euro; rispetto a chi possiede tre miliardi di euro (3.000.000.000 euro, comunque molto meno del magnate di cui sopra) ci sono quattro zeri di differenza.

Vogliamo sentirci miliardari? Togliamo quattro zeri al prezzo di qualsiasi bene per capire l’impegno economico necessario per acquistare le stesse cose che desideriamo oggi, se fossimo davvero così facoltosi.

I miliardari comprano una villa del valore di un milione di euro (1.000.000 ) con la stessa disinvoltura con la quale noi compriamo un paio di scarpe neanche troppo costose (100 euro).

Ci si può divertire a fare le proporzioni, ma dopo un po’ l’esercizio diventa avvilente: immaginiamo infatti di andare a lavorare, nel nostro studio privato, per un centesimo l’ora. Tanto pesa per un miliardario un’ora ben pagata del nostro tempo lavorativo: un decimillesimo di 100 euro corrisponde a un centesimo.

Abbiamo idea di quanti siano i miliardari nel mondo? E di quante centinaia, o migliaia di miliardi possiedono le singole famiglie più ricche del mondo?

Questa è la classe dominante.

Tutti noi siamo i dominati.

Dalla nostra abbiamo la numerosità del gruppo: qualche miliardo contro qualche migliaio (e qui “ballano” ben sei zeri di distanza!). Ma ahinoi! anche in questo caso non c’è da festeggiare, perché è molto più difficile che sette miliardi di persone si diano un’organizzazione comune, rispetto a qualche migliaio.

Tuttavia, a volte la storia ci riserva anche delle soddisfazioni.

Un’anomalia della storia?

Dopo gli eventi della prima metà del Novecento e in seguito all’esito della Seconda Guerra Mondiale, il baricentro del conflitto di classe si è spostato leggermente in favore dei lavoratori dipendenti, del popolo, a scapito della minoranza in possesso di ingenti mezzi economici e potere.

Decine di milioni di persone hanno trovato per la prima volta nella storia un’occupazione stabile e relativamente ben retribuita […] si sono ridotti gli orari di lavoro di circa 2-300 ore l’anno (che vuol dire quasi due mesi di lavoro in meno); si sono allungate di settimane le ferie retribuite. […] si sono estesi […] i diritti dei lavoratori ad essere trattati come persone e non come merci che si usano quando servono o si buttano via in caso contrario.
(Gallino, 2012, p. 10)


In Italia sono stati gli anni del boom economico: un aumento generalizzato del benessere di tutti i cittadini prodotto, tra l’altro, dall’aumento dei salari. 

Lo Stato si è fatto carico di servizi essenziali ampliando il sistema pubblico di protezione sociale.

È stato un periodo molto favorevole, durato trenta o quaranta anni, anche grazie a eccezionali contingenze internazionali.

Le classi dominanti sono state […] indotte a cedere una porzione dei loro privilegi, tutto sommato limitata […] ciò ha voluto dire una riduzione del potere di cui godevano, dovuta in parte alle lotte dei lavoratori, in parte al convincimento che fosse meglio andare in quella direzione affinché l’ombra ad Oriente non esercitasse troppa influenza nel contesto politico occidentale (p. 11).


Dagli anni ’70 e ’80 del Novecento, anche a causa dei mutamenti geopolitici (tra i principali lo sfaldamento del blocco sovietico), il capitale ha inteso recuperare la precedente egemonia, e oggi la lotta di classe prosegue sempre più drammaticamente a nostro sfavore.

Ciò è avvenuto anche grazie a due potentissimi strumenti:

  • la globalizzazione
  • la finanziarizzazione dell’economia (cioè la possibilità di fare soldi coi soldi).

La controffensiva capitalistica utilizza numerose strategie per attaccare i diritti dei lavoratori e le protezioni statali per le fasce più deboli. La più importante prevede la colonizzazione delle istituzioni, in modo da garantire politiche in favore delle classi dominanti.

Dal secondo dopoguerra abbiamo assistito alla proliferazione di enti nazionali e sovranazionali preposti alla disciplina dei mercati e delle relazioni sociali sottostanti, e quindi alla creazione di un complesso e corposo sistema di regole volto a predeterminare rigidamente le relazioni sociali secondo precisi obiettivi politici favorevoli al capitale.
(Undiemi, 2021, p. 312)


«Si è puntato anzitutto a contenere i salari reali, ovvero i redditi da lavoro dipendente; a reintrodurre condizioni di lavoro più rigide nelle fabbriche e negli uffici; a far salire nuovamente la quota dei profitti sul Pil che era stata erosa dagli aumenti salariali, dagli investimenti, dalle imposte»
[…]
«In sostanza non è affatto venuta meno la lotta di classe. Semmai, la lotta che era stata condotta dal basso per migliorare il proprio destino ha ceduto il posto a una lotta condotta dall’alto per recuperare i privilegi, i profitti e soprattutto il potere che erano stati in qualche misura erosi nel trentennio precedente»
[…]
«Questa lotta viene condotta dalle classi dominanti dei diversi paesi, le quali costituiscono ormai per vari aspetti un’unica classe globale. Rientrano in essa i proprietari di grandi patrimoni, i top manager, […] i politici di primo piano che spesso hanno rapporti stretti con la classe economicamente dominante, i grandi proprietari terrieri…» (Gallino, 2012, p. 11-12).

Oggi la classe capitalistica si è ampliata e ha acquisito una struttura transnazionale. E il potere che è in grado di gestire è incomparabilmente più importante di quello dei loro antenati di fine Ottocento.

Tra le strategie di lotta di classe dall’alto annoveriamo le politiche di austerità (la limitazione dei consumi privati e delle spese pubbliche), imposte al nostro Paese soprattutto a partire dal 2011 (Governo Monti).

Tali scelte politiche vanno contro gli interessi della maggioranza dei cittadini: l’austerità crea disoccupazione, per cui si riduce il costo del lavoro e in breve tempo si determina la riduzione del reddito di tutti.

Da almeno trent’anni la classe media si assottiglia sempre più mentre la massa di indigenti lievita, come lo scontento generale. Ma così aumenta il pericolo che tale malcontento produca un’azione di rivolta generalizzata.

Quindi, affinché questa condizione non degeneri, la minoranza al potere deve agire su almeno due fronti: espandere la propaganda e comprimere la democrazia.

E siamo arrivati all’oggi, alle questioni di cui abbiamo discusso e alle azioni infami che tanti di noi hanno subìto (ma grazie alle quali ci siamo finalmente mobilitati): la classe dominante ha bisogno di indurre una repressione generalizzata, in maniera opaca e dissimulata, così che possa essere tollerata dalla massa disinformata e inconsapevole.

Adoperando questa cornice interpretativa, sarà più semplice identificare l’intento repressivo di certe decisioni di governo. Ce ne occuperemo certamente nei prossimi articoli.

Adesso, per tornare alla questione con cui abbiamo dato inizio al nostro ragionamento, la mia proposta è: continuiamo a studiare le motivazioni esatte che stanno alla base delle decisioni politiche attuali. Perché soltanto se abbiamo alle spalle una conoscenza razionale dei fatti possiamo elaborare obiezioni inappuntabili e strategie di contrasto efficaci.

Nel paragrafo successivo proverò a declinare le più adatte a noi psicologi come categoria professionale.

Intanto, a questo punto, spero di aver chiarito che TUTTI NOI siamo #dallastessaparte della barricata.

Cosa possiamo fare?

L’intera struttura ordinaria della quotidianità, quella che si da per scontata, non è affatto scontata. È un dispositivo globaritarista.
Non sarà un buon genitore/educatore/formatore a rivoltare il piano della quotidianità per renderne visibile la sua intenzionale arbitrarietà, perché egli opera nel sistema che vorrebbe mettere in discussione. I processi di trasformazione che intende promuovere nelle nuove generazioni, con enorme difficoltà potranno svolgersi nel corso di una singola vita. È molto più probabile che debbano trascorrere numerose generazioni affinché cambi la visione del mondo; il territorio su cui ci muoviamo non è più quello psicologico-sociale, ma quello antropologico-culturale. È necessario cioè che si addensi un sentimento, e con esso una coscienza capace di aggregare gruppi con una forza propositrice intelligente e crescente.
(Mignosi, 2020, pp. 81-82)


Occultandosi dietro al paravento di una democrazia virtuale, la classe dominante ha la garanzia di proteggersi dal conflitto verticale e garantire a se stessa un futuro meno problematico.

Il progetto viene realizzato anche grazie al tradimento di una parte dei rappresentanti dei corpi intermedi (partiti politici, sindacati, associazioni, ordini professionali) e la de-politicizzazione della società (che ingenera un conflitto “orizzontale” tra gruppi appartenenti alla medesima classe dei dominati).

Abbiamo mostrato che l’attuale sistema economico capitalistico, finanziarizzato e globalizzato sopravvive soltanto se l’uomo che lo abita rimane debole.

Perché ciò si realizzi, vengono attivamente minate le fondamenta della struttura psicologica degli individui.

Se quello che avete letto finora vi sembra fondato e ragionevole, dobbiamo essere coerenti e trarne la logica conseguenza: anche la nostra identità – personale e professionale – è rimasta deformata dal dispositivo culturale che ci opprime.

Abbiamo interiorizzato il sistema di valori del nostro oppressore, e lo replichiamo inconsapevolmente.

Se non estirpiamo dal nostro codice interno il paradigma neocapitalista, rischiamo di combattere nel campo scelto dall’avversario, e con gli strumenti da esso predisposti.

Di conseguenza, il primo passo è decontaminare il nostro sistema di valori attraverso un processo di decondizionamento e autoformazione.

Per far ciò dobbiamo mobilitare tutte le risorse affettive che abbiamo a disposizione, dentro e attorno a noi. L’emotività che abbiamo temporaneamente accantonato per avviare l’analisi rigorosa degli eventi, la recuperiamo adesso per sostenere una solida volontà.

La disciplina interiore sarà necessaria per riconquistare il tempo di vita offline, contenere le relazioni virtuali e favorire gli incontri reali, in carne e ossa. Riguardo a questi due punti dobbiamo tutti fare un sincero e profondo esame di coscienza.

La rivoluzione interiore (Guzzi, 2019) può avvenire soltanto se gli individui sono collegati tra loro attraverso legami profondi. E noi psicologi abbiamo le competenze per contribuire a consolidare uno spirito di gruppo e di comunità autenticamente solidale.

Sarà necessario assumere la piena responsabilità del proprio operato: dobbiamo accantonare l’atteggiamento lamentoso che non serve a nulla, se non a dare a noi stessi l’illusione di non accettare le oppressioni, senza però ribellarci veramente (Scardovelli, 2000).

Probabilmente quello che sto per scrivere adesso non risulterà facile da accettare, ma ritengo che dobbiamo mettere da parte l’atteggiamento ostile nei confronti di chi ha inconsapevolmente agito da elemento di trasmissione del sistema oppressivo: è necessario disinnescare il conflitto orizzontale tra appartenenti alla stessa classe sociale per tentare di coinvolgere anche chi non ha ancora compreso le dinamiche repressive in cui siamo immersi, forse perché finora non è stato colpito duramente in prima persona.

Ma perché ciò possa avvenire, bisogna recuperare uno stato d’animo positivo, benevolo ed equilibrato. 

In fondo, se ci riflettiamo a mente serena, dobbiamo anche ammettere che ‘non è vero che tutto va peggio’, come recita il titolo di un libro da leggere per rilanciare l’impegno a proseguire il percorso secolare di progressivo, anche se non lineare, miglioramento delle nostre condizioni di vita (Dotti, Fo, 2008).

Dopo aver risolto le ‘passioni tristi’ di cui siamo intrisi (Benasayag e Schmit, 2004), potremo ricomporre insieme un sistema affettivo-motivazionale risanato.

Dobbiamo essere fisicamente e mentalmente attrezzati per la lotta: recuperare la fiducia in noi stessi, la salute, la determinazione; ricostruire relazioni sane; coltivare l’ottimismo e una visione del mondo che non escluda la dimensione trascendente dell’esistenza.

Nell’idea di partecipazione individuale a scelte collettive che hanno poi ricadute su tutti e su ciascuno è insita la speranza in un mutamento tangibile, una innovazione della società e del mondo che renda un po’ più liberi, più padroni del proprio destino, che avvii verso qualche forma di emancipazione.
(Gallino, 2012, p. 209)


La nostra associazione #dallastessaparte realizza gruppi di sostegno per ristabilire la fisiologica gratificazione dei bisogni fondamentali di sicurezza (fiducia in sé e negli altri), relazioni (legami, attaccamento, amore) e spiritualità.

Si aggiungono i gruppi di consapevolezza personale e politica, che definiscono il vero campo di battaglia: in primo luogo dentro ciascuno di noi (identità e cultura) e poi, di conseguenza, sociale.

Il sostegno da parte del gruppo e della comunità è necessario anche perché in un futuro non troppo distante, giungeranno momenti ancora più impegnativi. Già oggi non è più garantito ciò che per i nostri genitori era relativamente assodato: ad esempio la stabilità lavorativa, l’assistenza medica di base gratuita e una pensione dignitosa.

Costruire una rete di comunità, ricreare una rete di relazioni autentiche, cooperative e solidaristiche, ridurrà il rischio di entrare in grave sofferenza quando verranno ulteriormente ridotti i margini di protezione sociale e la disponibilità di beni materiali.

Un progetto a lungo termine

Dovremo essere capaci di agire anche su un piano temporale molto più esteso della nostra singola esistenza: il nostro impegno sarà intergenerazionale.

Dovranno trascorrere molti decenni, prima che il germe di una matrice relazionalmente fertile potrà attecchire, soprattutto in considerazione della scala globale sulla quale queste dinamiche antropopsichiche si dispiegano.
(Mignosi, 2020, p. 82)


La Scuola è uno dei centri più incisivi di condizionamento e coloro che vi lavorano hanno un compito particolarmente importante (a tal proposito consiglio la lettura del libro MalaScuola di Elisabetta Frezza).
In questa direzione, l’associazione #dallastessaparte ha strutturato al proprio interno uno specifico gruppo di lavoro.

Incentiviamo la ricerca e l’evoluzione psicologica e spirituale.

Continuiamo ad approfondire le dinamiche psicosociologiche conseguenti alla lotta di classe e informare i colleghi.

Bisogna agire sui fattori che tendono a disincentivare l’azione politica.

Rifiutiamo la narrazione della politica ladra, della “casta” e riattiviamo la partecipazione dei cittadini all’interno delle istituzioni che, seppur sfibrate, esistono ancora.

Difendiamo gli strumenti della democrazia: lavoriamo affinché si ristabilisca la conflittualità fisiologica tra raggruppamenti di individui con interessi legittimamente contrapposti.

La conflittualità non è superabile in un sistema democratico
(Undiemi, 2021, p. 345)


«Garantire la conflittualità significa infatti assicurare anche la sopravvivenza dei sistemi democratici: l’alternativa è il pensiero unico, che è l’antitesi del pluralismo. L’antagonismo pertanto […] consente di calibrare interessi contrapposti, e quindi di mantenere un equilibrio costituzionalmente sostenibile» (Undiemi, 2021, p. 307).

«La politica, in fondo, è un processo volto a distribuire tra i cittadini diritti sociali e risorse materiali e immateriali. I governi tecnici degli ultimi anni si sono adoperati in genere per far sì che diritti sociali e risorse siano per quanto possibile spostati sempre più dal basso della piramide sociale verso l’alto» (Gallino, 2012, p. 199).

Ripopoliamo, dunque, gli organi intermedi: sindacati, partiti, associazioni, ordini professionali devono tornare a rappresentare con forza le istanze dei cittadini ai livelli politici più alti, per consentire una più equa distribuzione della ricchezza e del benessere.

***

  • Benasayag M., Schmit G., L’epoca delle passioni tristi, 2004.
  • Bourdieu P., Per una teoria della pratica: con tre studi di etnologia cabila, 1972 (tr. it. 2003).
  • Bourdieu P., Risposte: per un’antropologia riflessiva, 1992.
  • Dotti M., Fo J., Non è vero che tutto va peggio! Come e perché il mondo continua a migliorare anche se non sembra, 2008.
  • Frezza E., MalaScuola, 2017.
  • Gallino L., La lotta di classe dopo la lotta di classe, 2012.
  • Guzzi M., Alla ricerca del continente della gioia, 2019.
  • Mignosi G.G., Lo spietato repertorio della contemporaneità. Verso una normopatia sociopatica, 20.
  • Scardovelli M., Subpersonalità e crescita dell’Io, 2000.
  • Undiemi L., La lotta di classe nel XXI secolo, 2021.