Categoria: Associazione

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Dalla parte della Psicologia: la pratica clinica si apre al confronto attraverso il racconto di terapeuti esperti

Gli psicoterapeuti che animano l’associazione #dallastessaparte provengono da ambiti di formazione molteplici.

Per questo motivo le supervisioni sono una delle attività più interessanti che propone l’associazione: un preziosissimo confronto tra professionisti di grande esperienza che adoperano differenti modelli teorici e di intervento clinico.
Nelle nostre riunioni, che si svolgono regolarmente ogni mese da più di due anni, abbiamo sviluppato una rete di lavoro e solidarietà che ha prodotto piacevoli evoluzioni.

Una di queste è il ciclo di appuntamenti che abbiamo voluto chiamare “Dalla parte della Psicologia: la pratica clinica si apre al confronto attraverso il racconto di terapeuti esperti”.

Seguendo il Progetto e lo Statuto dell’Associazione abbiamo immaginato di realizzare tre incontri tra allievi in formazione e psicoterapeuti esperti, in cui inizieremo a ragionare insieme su alcuni aspetti essenziali della pratica clinica, a partire dal racconto di ciò che realmente accade nella stanza di psicoterapia.

Gli incontri avranno luogo il venerdì dalle 17.00 alle 19.30, nella sede di via dell’Artigliere n. 6 a Palermo.

Il 31 maggio ci occuperemo del colloquio clinico.
Il 14 giugno ci dedicheremo a valutazione e psicodiagnosi.
Il 28 giugno proveremo a raccontare l’esperienza clinica.

La partecipazione è gratuita, e aperta a studenti di psicologia e allievi delle scuole di specializzazione.

È necessario comunicare la propria adesione inviando una mail all’indirizzo info@dallastessaparte.it oppure telefonando al numero 3284787228.

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Domande che curano

Venerdì 3 maggio 2024 alle 17.30, presso la nuova sede dell’Associazione #DallaStessaParte a Palermo in via dell’Artigliere 6, presenteremo il libro Domande che curano.
Roberta Campo ha scritto per noi una recensione accurata: un invito alla lettura in cui si riconoscono i principi che ci hanno motivati a fondare l’associazione e che abbiamo sintetizzato nel nostro progetto.


Domande che curano è scritto da quattro psicologhe reichiane unite nel desiderio di stare insieme per farsi domande.

Le Autrici si muovono e si inoltrano tra questioni volutamente aperte, senza avere mai la pretesa di dare delle risposte; ma il libro è anche un invito a mettere la testa fuori dagli spazi occupati da un collettivo amente, sempre meno interessato a interrogare ciò che viene dato per scontato nel quotidiano.

Domande che curano può essere visto, quindi, come una vera e propria messa in discussione che indistintamente interroga tutti a ritornare a sostenere lo sguardo su come concepiamo lo spazio comune e condiviso, proprio dopo un periodo storico tristemente e dolorosamente attraversato da divisioni, sfiducia, desiderio di controllo, sospettosità. Sentimenti, questi, che hanno segnato come mai prima d’ora persino quei legami che consideravamo indissolubili, ma che invece sono stati bruscamente strappati.

Il testo attraversa temi fondamentali e solo apparentemente diversi tra di loro: il politicamente corretto, le pratiche sanitarie, il ruolo della psicologia oggi e le politiche sanitarie, la gestione dell’informazione a opera dei mass-media, la verità, il trans- e post- umano, la morte.

Si vorrebbe sfatare l’idea che argomenti come ‘scienza’, ‘tecnica’, ‘bene comune’, ‘politiche sanitarie’ siano autoevidenti, tanto da non dovere essere né questionati né motivati.

Il volume è una proposta per guardare, osservare e comprendere ciò che ci precede, e iscrive il nostro esistere all’interno di un corpo collettivo più ampio.

La continua ricerca delle domande lo rende anche un’occasione per riattraversare le ferite che hanno lacerato la nostra comunità, non solo civile ma anche professionale.

Apparentemente sembra che stiamo parlando di un periodo già passato alla storia. Tutto sembra tornato alla normalità, ma non è andato tutto bene come si sperava inizialmente. Non solo allora, quando si svolgevano i fatti. Purtroppo ancora oggi sembra esserci un certo pudore nel tornare a parlare di quanto è accaduto e che, in ambiti solo apparentemente diversi, continua ad accadere ancora adesso. Spesso si rileva un fastidio nei confronti di chi si ostina a tornare a parlare di lockdown, ma soprattutto di vaccini e dell’obbligo vaccinale, di questa storia comunque tormentata e tormentosa.

Tutto fa pensare che in realtà vi sia poco di elaborato su quando accaduto.

Dunque, non possiamo dire che sia andato tutto bene: ognuno porta con sé un personalissimo “strappo”. Il testo, però, non si riduce mai a diventare un banale tentativo di ricucire le lacerazioni e disinfettare le ferite. Dal mio punto di vista prova a fare qualcosa di più.

Questo qualcosa in più lo dichiarano le stesse Autrici quando condividono il senso del loro pseudomino: Eumenidi.

Le Eumenidi, nella tradizione greca, sono le dee della benevolenza che vigilano sulla Giustizia. La storia delle Eumenidi di Eschilo è proprio la storia di una vendetta trasformata in benevolenza. Le Erinni, dee possedute da un senso di giustizia vendicativa sono implacabili e inarrestabili. Solo Atena, con la promessa di venerazione eterna, riesce a calmare le Erinni trasformandole in Eumenidi, dee a cui viene affidato il compito di vigilare che a nessuno venga fatto del male.

Queste moderne dee restauratrici ci parlano della loro benevolenza già a partire dal titolo. Le domande curano poiché permettono di fare spazio al grido sordo delle morti in solitudine, delle Antigone afflitte davanti a Creonte, dei bambini spenti dentro le aule sterilizzate della scuola, degli anziani disperati e soli, degli adolescenti senza gruppo.

Al grido di vendetta si sostituisce la parola del “Giusto”, inteso non in termini morali, né in termini di regole. La Giustizia delle Eumenidi giudica l’oppressione, in qualsiasi forma essa avvenga, dell’uomo sopra un altro uomo, perché di esso ne riconosce la sacralità unica e inviolabile.

Il testo si apre con le parole di Hanna Arendt e si chiude con un brano di Italo Calvino tratto da Le città invisibili, probabilmente a volere rimarcare l’importanza di continuare a farci domande su ciò che è dato come ovvio, come autoevidente. È un invito a praticare l’etica della responsabilità, così come pensata da Arendt, per non trasformare il mondo nell’inferno dei viventi.
Porsi le domande consente anche di recuperare un assunto importante per praticare il giudizio, inteso come capacità di giudicare l’arbitrio e l’arbitrario che, in quanto tali, rischiano di essere insopportabili per l’animo e la mente. Non è la malvagità dell’uomo, infatti, a rendere il mondo (e la vita) un inferno, ma l’inadeguatezza dei criteri morali con cui vengono giudicate le azioni.

Il testo riesce sempre a sfuggire al tentativo di moralizzare la società grazie alla capacità delle Autrici di assumersi la responsabilità del “fare le domande”, compito che dovrebbe diventare, in ultima istanza, analisi del potere e dell’esercizio del potere. Perché l’inferno dei viventi può essere una fabbrica, una R.S.A., una scuola, un ospedale, un sistema politico, un impiego. L’inferno si presenta ogni qualvolta viene mortificata la sacralità della vita.

È un discorso, questo, al di fuori della legge e della normatività giuridica.

La Giustizia a cui si rivolgono le nostre moderne Eumenidi appartiene all’ordine del sacro. Del resto, i Greci non avevano una termine corrispondente al nostro “diritto”.

Il sacro chiaramente non va letto in chiave religiosa: siamo in presenza del sacro ogni volta che ci troviamo di fronte a qualcosa che non può essere definito in nessun modo, se non tramite un apriori.

Possiamo davvero avere la presunzione di sapere cosa sia la vita? O come si debba definire rispetto della persona umana? Cosa sarebbe la dignità?

Nell’antica Roma il nome era qualcosa di sacro. Tutte le città avevano un nome sacro segreto, che potevano conoscere solo i sacerdoti e che andava custodito pena la distruzione della città stessa. Conoscere il nome significava potere influire, dominare e sottomettere. Conoscere il nome dà potere, nel bene e nel male.

Se ci pensiamo, ogni qualvolta proviamo a definire alcuni concetti sacri, stiamo aprendo alla possibilità di un arbitrio. Ogni volta che disegniamo, grazie al potere di una definizione o di una norma civile, il significato di un concetto, stiamo tracciando un pericoloso confine che permette di definire standard, criteri, regole e deroghe. Ma potremo anche trovare sempre l’eccezione che conferma la regola, proprio come ne La fattoria degli animali di Orwell. Soprattutto sarà possibile trasformare una “dignità inalienabile” in qualcosa di alienabile, perché per ogni confine vi è “un al di là” dove qualcosa diventa possibile.

L’articolato “civile” delle definizioni dello spazio del sacro trasforma la Giustizia delle Eumenidi nella riflessione su quanto sia lecito il potere che una persona può esercitare su un’altra persona, pur rimanendo non perseguibile dalla giustizia.

Ecco perché l’importanza del farsi le domande. Le domande alzano il velo e rendono visibile ciò che in realtà è arbitrario.

Non a caso, per Simone Weil vita, dignità, rispetto, inalienabilità sono termini che appartengono all’ordine del sacro, perché nel momento stesso in cui ci impegnamo a definirli – in termini morali, culturali, sociali, psichici, giuridici – perdono il loro carattere sacro e possono essere circoscritti, revocati, amministrati, controllati.

Le moderne Eumenidi si chiedono quindi: è stata rispettata la legge del diritto? è stata rispettata la legge del sacro?

È una domanda fondamentale in un’epoca in cui qualsiasi aspetto della vita viene amministrato dal diritto, e l’etica viene trasformata in un pericoloso dirittismo.

Le leggi ci hanno detto che bisognava impedire le visite ai malati, ai morenti, ai funerali, alle nascite. Le persone anziane sono state relegate in residenze divenute luoghi di attesa che qualcosa accadesse. Le carceri sono divenute ancor di più, luoghi di detenzione e di isolamento da cose e ospiti che venivano da fuori, fatta eccezione per il virus che era l’unico possibile ospite minaccioso ad accesso libero. Le nascite sono diventate momenti di solitudine delle madri, cui è stato imposto di partorire in assenza dei mariti e delle madri, di portare la mascherina il più possibile durante il parto, di non toccare nessuno degli infermieri presenti durante il travaglio (p. 10).

La postura della Giustizia ci invita a fare le domande. Le domande non hanno la pretesa di risolvere nulla, ma solo di aprire e ampliare l’orizzonte della realtà. Le domande avvicinano alla verità, non tanto perché esista una Verità unica e assoluta ma perché creano spazio per il pensiero.

Nelle verità fondate sui dogmi, sugli intenti persuasivi, sulle immagini dimostrative di una evidenza incontestabile, abbiamo dimenticato le domande, ovvero le porte relazionali per eccellenza, i nodi tematici, le capacità di argomentare, del lasciare in sospeso, dell’attendere, del fare relazioni davanti ad un accadimento non noto, del fare ricerca collaborando tra professionisti che propongono tesi opposte (p. 29).

Un’etica, questa, sempre più importante nell’epoca attuale, in cui le immagini prendono il posto della realtà. Baricco, commentando i fatti dell’11 settembre, segnalava una trasformazione nei modi in cui facciamo esperienza della realtà, che ci allontana dalla possibilità di stare all’interno di un rapporto complesso e articolato con essa: “il mondo non ha tempo di essere così. La realtà non va a capo, non concorda i verbi, non scrive belle frasi, noi lo facciamo quando raccontiamo il mondo, ma il mondo, di suo è sgrammaticato, sporco, la punteggiatura la mette che è uno schifo”.

Poco prima scriveva: “c’è un’ipertrofia irragionevole di esattezza simbolica, di purezza del gesto, di spettacolarità, di immaginazione (…) In tutto c’è troppa maestria drammaturgica, c’è troppo Hollywood, c’è troppa fiction”.

La prevalenza dell’immagine sulla percezione diretta della realtà comporta un depotenziamento della funzione epistemofilica, quella funzione che sostiene un modo del comprendere capace di stare all’interno di uno spazio comune di interrogazione.

In “Domande che curano” le Eumenidi, insieme ai propri lettori, provano a creare e mantenere vivo tale spazio.

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Ad Agrigento: Lo spietato repertorio della contemporaneità

Sabato prossimo 14 ottobre 2023 ci vediamo ad Agrigento!

Inizieremo con la presentazione del libro “Lo spietato repertorio della contemporaneità. Verso una normopatia sociopatica” e avvieremo un piacevole confronto con l’Autore Gabriele Mignosi e i soci #dallastessaparte.

Sarà l’occasione per conoscerci, e per ragionare insieme sulla funzione che la Psicologia sta assumendo nella società contemporanea.

Ci vediamo sabato alle 17, all’Hotel Tre Torri di Agrigento, in via Cannatello 7.

Qui sotto trovi la locandina dell’evento, se vuoi puoi condividerla con i colleghi che pensi siano interessati.

Per iscriverti e per ricevere informazioni sulle attività dell’associazione #dallastessaparte puoi utilizzare questo modulo.

locandina Agrigento
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Convegno #dallastessaparte sulla proposta di revisione del Codice Deontologico

Sabato 16 settembre ti invitiamo al convegno organizzato dall’associazione #dallastessaparte per discutere insieme sulla proposta di revisione del nostro Codice Deontologico.

Codice Deontologico delle Psicologhe e degli Psicologi: verso quale revisione?

Il referendum si svolgerà online dal 21 al 25 settembre 2023.

Ci sembra doveroso organizzare prima un momento di informazione e dibattito su questioni davvero importanti, che riguardano tutti noi.

Nel frattempo ti invitiamo a leggere tutti gli articoli del nostro blog (lo Scrittoio), in particolare l’ultimo articolo appena pubblicato da Roberta Campo, che individua alcuni dei temi più delicati.

Considerata la particolare rilevanza della questione, ti chiediamo di pubblicizzare l’evento a tutti i colleghi che potrebbero essere interessati.

Qui trovi la locandina dell’evento che si svolgerà a Palermo, presso la Casa dei Sogni, in via Mura di San Vito n. 10 (dietro il teatro Massimo).

Se vuoi partecipare, iscriviti da questa pagina: https://www.dallastessaparte.it/iscrizione-convegno/

Ci vediamo presto.

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Cineforum #1: “Non è un caso. Moro”

Ritrovarci a ragionare sulle cose, entro spazi di relazione buoni e quasi dimenticati. Dove una volta si cresceva insieme, come uomini e come comunità.
Ecco perché abbiamo fondato DallaStessaParte e perché abbiamo organizzato gli incontri del Cineforum.

Venerdì 14 luglio abbiamo visto “Non è un caso. Moro”, appassionante docufilm del regista Tommaso Minniti, tratto dall’inchiesta di Paolo Cucchiarelli.

Dal dibattito che ha seguito la proiezione è emersa una questione interessante, relativa al processo di costruzione e maturazione della “verità”.

Nel lavoro psicoterapeutico, una parte significativa del lavoro che facciamo con il paziente è quello di ripercorrere la propria storia personale, familiare, e dei contesti in cui essa si colloca, e disporci in un atteggiamento di riscrittura e di nuova significazione degli eventi.

Gli eventi “storici”, lungi dall’essere “dati”, sono eventi interpretati alla luce dei codici di significazione che possediamo al momento del loro darsi. Ecco, ad esempio, perché un bambino che resta solo davanti alla scuola per un ritardo o una dimenticanza di un genitore oberato di impegni, può ricordare vividamente l’episodio con un drammatico vissuto di abbandono, magari associandolo alla rivalità con un fratellino più piccolo.

Essenziale è, dunque, nel lavoro terapeutico con l’adulto, la ricostruzione dei significati, in una visione rinnovata, possibilmente meno ingenua, meno infantile, meno egocentrica, in un quadro più ricco e complesso, risultante non solo dalla integrazione di elementi nuovi o compresi solo successivamente, ma soprattutto da un’assunzione di responsabilità più matura nei confronti delle cose che sono e che sono state.

Da questa sapienza professionale è emersa, visibile, la necessità che come Italiani, come cittadini, come membri di una comunità, ci assumiamo la responsabilità di ripercorrere gli eventi significativi della nostra Storia.

In termini meno ingenui, appunto, meno passivi, alla ricerca di una conoscenza che non sia superficiale ma capita in profondità.
E rispetto all’informazione mediatica e alle “verità” tutte, ufficiali o ufficiose che siano: al “cittadino adulto”, cui idealmente vogliamo assomigliare, non può bastare una narrazione anche se proveniente da una fonte istituzionale, anche autorevole. Dovrà comunque fare la fatica di trovare un suo cammino di significazione ponderata e approfondita.
Allo stesso modo in cui la “verità” di un genitore può essere accettata acriticamente da un figlio bambino, ma non da un figlio adulto, che dovrà svilupparne una propria. E magari integrarla, quando possibile, alle visioni degli altri.

Una piacevole serata, dunque, col sapore delle vecchie proiezioni all’arena della villeggiatura estiva, è stata occasione per rinnovare il senso del partecipare di ognuno di noi alla storia civile e sociale che ci appartiene ed ancora influenza le nostre vite.

Poiché la domanda che resta aperta è: perché, a distanza di 45 anni, ancora non è possibile mettere sul tavolo del discorso pubblico le complesse verità del “caso” Moro? Non può essere un caso, suggerisce il titolo di Minniti. E per trovare la vostra personale posizione su questo evento, tra i più significativi della storia d’Italia, vi invitiamo a guardare il film (acquistabile qui), opera peraltro godibilissima anche dal punto di vista filmico, musicale e umano.

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La programmazione neurolinguistica: la mia esperienza

Seguendo lo spirito che anima l’Associazione #dallastessaparte, due volte al mese ci riuniamo per fare “autoformazione”.
Si tratta di eventi in cui un socio racconta un tema di interesse comune, che ha approfondito e che ha il piacere di condividere.
Il nostro nuovo socio Alberto Venuti ci ha fatto un bel “regalo di benvenuto”, organizzando un ciclo di incontri – tanto interessanti quanto dibattuti – sulla programmazione neurolinguistica.
A conclusione gli abbiamo chiesto un commento personale, che pubblichiamo molto volentieri perché, in modo semplice e autentico, restituisce il senso del nostro progetto comune.


L’Associazione #dallastessaparte, di cui sono socio, mi ha dato l’opportunità di presentare l’orientamento della programmazione neurolinguistica (PNL) ai colleghi, durante alcuni incontri di autoformazione.

Ho conosciuto questa disciplina psicologica per caso, mentre frequentavo il corso di laurea specialistica in Psicologia del lavoro e delle organizzazioni presso l’Università Lumsa di Roma. Da quel momento, per i successivi due anni, ho lavorato come tutor in un’azienda che si occupa di erogare corsi di formazione e crescita personale, e ho anche collaborato con altre aziende impegnate nel medesimo settore.

Ho avuto l’opportunità di conoscere un mondo fatto di passione, crescita, condivisione, voglia di migliorare, nuove amicizie: insomma un modo diverso, e fino ad allora inesplorato, di coltivare la mia passione, la psicologia.

La prima cosa che mi ha affascinato è stato il fatto di potere mettere subito in pratica tutto quello che fino a quel momento avevo soltanto letto e imparato teoricamente dai libri universitari; ho scoperto che la pratica è fondamentale per consolidare l’apprendimento e che, ancora più importante ai fini del consolidamento delle conoscenze, è l’attività di spiegare agli altri teorie, tecniche e relative procedure di applicazione, dopo averle testate personalmente.

Il mio primo intervento, durante un corso aziendale in PNL, è stato un salto nel buio, e trovarmi di fronte a un’aula colma di corsisti è stata una emozione forte e sfidante: ho cercato di essere il più chiaro possibile, di rispondere a dubbi e domande, di assicurarmi che quanto avevo appena spiegato fosse stato veramente assimilato, di essere pronto a ricevere eventuali critiche.

Ricordo ancora quella emozione e adesso la associo alla PNL stessa.

Spesso questo orientamento è oggetto di forti critiche e dubbi che, in qualità di trainer, non di rado mi vengono rivolti.

Come recita uno degli assiomi della comunicazione presi in prestito dalla PNL: “dietro l’obiezione c’è l’informazione”. Quindi ben vengano le obiezioni, in quanto danno a me l’opportunità di migliorare, e alla PNL la possibilità di perfezionarsi sempre più e offrire, a chi intende approfondirla, teorie e tecniche di valore.

Una delle critiche più frequenti che mi capita di sentire è: “la PNL è manipolazione!”.

A questa obiezione, rispondo che, per il solo fatto di essere al mondo, volenti o nolenti, stiamo già manipolando la realtà: il fatto di occupare uno spazio fisico e di interagire con gli altri è di per sé “manipolatorio”.

Forse il vero senso della questione sta nell’accezione negativa che viene data alla parola “manipolazione”, intendendo con questa il costringere qualcuno a fare qualcosa.

A questo punto subentra la questione etica di cui, a mio parere, non può occuparsi una disciplina psicologica, che è soltanto uno strumento: penso che la responsabilità relativa all’utilizzo di qualsiasi strumento non sia dello strumento stesso, ma della persona che se ne serve.

Ma cos’è la programmazione neurolinguistica?

La PNL nasce dall’incontro, intorno agli anni ’70 del secolo scorso, di Richard Bandler – informatico – e John Grinder – linguista – presso l’Università di Santa Cruz, in California.

Ė celebre la prima opera scritta dai due studiosi “La struttura della magia”. Bandler e Grinder decisero di analizzare il lavoro degli psicologi e psicoterapeuti più validi del loro tempo, come Fritz Pearls, Virginia Satir, Milton Erikson, allo scopo di carpire i segreti della loro bravura, e di sistematizzare, in maniera semplice e fruibile da tutti, le teorie e le tecniche da loro utilizzate.

Per questo la PNL viene definita come:

lo studio dell’esperienza soggettiva e del modellamento dell’eccellenza.

Il fatto che ogni persona abbia una prospettiva unica attraverso cui guardare la realtà e il fatto che “l’eccellenza”, intesa come il modo più efficace attraverso cui raggiungere i propri obiettivi, sia qualcosa a cui tutti possono aspirare, sono alcuni dei capisaldi su cui si fonda la PNL.

Inoltre, la programmazione neurolinguistica non è una scienza, come molti erroneamente affermano, ma una disciplina psicologica che si fonda anche su basi neuroscientifiche, come ad esempio il funzionamento dei neuroni specchio, scoperti nei primi anni ‘90 dal neuroscienziato Giacomo Rizzolatti.

La PNL, ancora, nasce come metodo terapeutico ma con il passare degli anni ha trovato applicazione anche in altre discipline come il counselling, il coaching, la formazione per giovani e per adulti, il team building, il public speaking, lo sport, la vendita, la selezione e la gestione delle risorse umane e molti altri ancora.

Per me la PNL ha rappresentato e rappresenta tutt’ora una chiave attraverso cui compiere una delle  attività più difficili di sempre: guardare il mondo attraverso gli occhi di un’altra persona, per aumentare al massimo la possibilità che ho di capire gli altri e di aiutarli a stare meglio.

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Convocazione Assemblea dei soci

Caro Socio,
con la presente ti comunico la data della prossima assemblea della nostra associazione.

Ai sensi dell’art. 17 e successivi dello Statuto dell’Associazione “#dallastessaparte”, viene indetta per il giorno 14 gennaio 2023 alle ore 7,00 in prima convocazione e per il giorno

14 gennaio 2023 alle ore 9,00

in seconda convocazione, l’assemblea ordinaria con il seguente o.d.g.:

  1. Tesseramento associazione 2023;
  2. Condivisione programmazione attività anno 2023;
  3. Varie ed eventuali.

L’assemblea si terrà presso lo studio della dott.ssa Chiara De Franchis, in via Marchese Ugo n. 56, Palermo.

Ti ricordo che ai sensi dell’art. 23 dello statuto puoi farti rappresentare in assemblea, per mezzo di delega scritta, da un altro associato. Ogni socio potrà portare in assemblea una sola delega.

Tanti cari saluti

Monica Perricone
Presidente Associazione #dallastessaparte

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Calendario #DSP

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Editoriale

Lo Scrittoio è nato durante una delle nostre riunioni del lunedì mattina, mentre ragionavamo su un’idea che differenziasse il blog di #dallastessaparte dalla frenesia comunicativa attuale, a nostro giudizio troppo spesso parziale e approssimativa.

Scrivere su uno scrittoio, con penna e calamaio, era faticoso e complesso. La scrittura era lenta e certosina, molto diversa da quella che realizziamo sui nostri performanti notebook poggiati sulla scrivania o sulle gambe, e spesso destinata a lavori di ufficio, amministrativi e burocratici.

Lo scrittoio era “semplicemente” uno strumento indispensabile.

Oggi Agamben lo definirebbe un dispositivo volto a produrre una soggettività capace di sostare nei tempi dell’attesa, nel rispetto dei vincoli e nella impegnativa cura delle cose.

Quindi per noi l’immagine dello scrittoio rinvia simbolicamente a una cura del pensiero, dei modi in cui pensiamo, riconoscendo l’importanza di uno spazio e di un tempo adatti, ma anche di una fatica e una gestualità svincolati dalla mera produttività mercantile.

Lo scrittoio era quello spazio fisico e mentale in cui ci si accomodava per scrivere una lettera destinata a una persona cara.

Ancora più anticamente, lo scrittoio era diffuso all’interno dei monasteri, luoghi in cui si manteneva la memoria del sapere dell’umanità.
Il nostro progetto è chiaramente molto più umile di quello degli amanuensi nelle antiche biblioteche, ma da essi ci piace trarre ispirazione.

Lo Scrittoio, per altro, mantiene una certa continuità con il nostro Pensatoio, che immaginiamo come il calamaio in cui ognuno di noi soci intinge la propria penna.

Il Pensatoio è il luogo dove riflettiamo insieme sul nostro gruppo e sui processi che ci attraversano; è un momento profondamente formativo, in cui pratichiamo l’arte dell’ascolto, dell’attesa paziente, del farsi comprendere e del comprendere, evitando, nei limiti del possibile, che la conversazione prenda la forma di un dibattito.

In associazione, l’attività del pensare prende avvio dentro un intreccio collettivo: essa desidera la presenza degli altri.

Soltanto in un tempo successivo, quando ognuno di noi si ritira “da solo”, avviene quel processo ideativo che definisce il pensiero in una forma scritta.

Il Pensatoio e lo Scrittoio sono quindi due fasi importanti di un processo formativo e culturale che ci attraversa.

Il nostro blog racconta l’umano e la comunità.


Ospita i contributi dei soci ma non solo, sui temi più attuali, su argomenti inerenti la nostra categoria professionale, l’epistemologia e le scienze sociali, non soltanto la psicologia, ma anche l’antropologia, la filosofia, e poi l’arte, la letteratura…

Il nostro obiettivo è incentivare il dialogo, sia dentro che fuori l’associazione.

Tramite articoli, commenti, recensioni, tavole rotonde, forniamo il nostro contributo alla faticosa comprensione della socialità contemporanea, e analizziamo i cambiamenti che interessano la nostra professione.

Lo Scrittoio è un luogo plurimo, in cui trovano spazio contributi di qualsiasi orientamento, elaborati da colleghi di qualsiasi formazione, e dove coesistono riflessioni che scaturiscono da percorsi personali e professionali anche molto differenti tra di loro.

Se il nostro progetto ti sta a cuore, confidiamo che qui troverai ottimi spunti di riflessione.

Buona lettura!